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Synthi Time è forse uno degli album più indicati – a fronte di una discografia mastodontica – per apprezzare in pieno le qualità compositive e sperimentali di Piero Umiliani, per una volta lontano dalle classiche colonne sonore che l’hanno reso così amato e persino da sonorizzazioni ricercate a livello sonoro come Genti e paesi del mondo o Problemi d’oggi, uscita a nome Zalla.
In questo caso, ci piace immaginarlo assorto nel suo studio Sound Work Shop, intento a sperimentare con i sintetizzatori con la stessa foga di un principiante alla ricerca del suono perfetto. Pur senza rinunciare mai a elementi pop(olari), Umiliani pare quasi anticipare (o quanto meno essere in piena sintonia) con certe ricerche sonore che caratterizzeranno le carriere di autori come Roedelius o Moebius in Germania. Come rivelava lo stesso sottotitolo, si trattava di “un nuovo modo di fare musica” attraverso l’utilizzo del sintetizzatore elettronico – si parla del 1971 – a cui si aggiungono per brevi momenti la spinetta e l’organo Hammond. E, se si eccettuano altri piccoli capolavori come Il mondo dei romani e Tra scienza e fantascienza, l’Umiliani più ‘avanti’ lo troviamo proprio tra le tracce di Synthi grottesco, Synthetic Water (davvero incredibile), Synthi pianola e Synthi pastorale, ottimi esempi di un maestro alle prese con nuove sonorità e con il futuro della musica tutta. Spesso dimenticato anche da chi ama e segue Umiliani, Synthi Time è invece uno dei suoi migliori lavori.