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A un ventennio dalla sua morte Marcello Mastroianni, l’attore più affascinante del cinema nostrano, il tombeur de femmes in cui il fisico e la natura dell’amante latino hanno convissuto suo malgrado in perfetta coincidenza di ruolo e spontaneità, rimane acquattato tra le icone fuori catalogo dello star system mondiale in attesa di un sicuro rilancio.
Pascal Schembri coglie nello straniamento partecipe dell’attore la sua identità inconfondibile, nel suo spessore innegabile la sua innegabile trasparenza.
I massimi registi, e su tutti loro Fellini, hanno cercato di farne il proprio simulacro, ottenendo il risibile effetto di una maschera di Zorro posta su un identificabilissimo Don Diego de la Vega. Per loro, Mastroianni si è prestato con tenera indolenza a rappresentare l’uomo diviso tra l’innata aristocrazia e la partecipazione generosa alla volgarità della sua epoca, guadagnandosi l’antonomasia di un nome che nessuno indosserà mai con altrettanta fortuna e rimanendo immancabilmente se stesso. Come per convenzione nessuno riconosce Don Diego dietro la mascherina nera di Zorro, così tutti abbiamo accettato di volta in volta la finzione accennata del personaggio riconoscendovi l’attore e apprezzandolo di più proprio per questo. Il Marcello chiamato con accento americano da Anita Ekberg nella Fontana di Trevi è l’insuperato Marcello di un secolo incerto sulle maschere da indossare e dietro le quali farsi inevitabilmente riconoscere.
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