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“Vedere i film di Prandino Visconti, scrivere di Prandino Visconti, oltre che un piacere è un obbligo morale. Oggi, che un libro di cinema non lo si nega a nessuno, il vuoto di informazioni, critiche, riflessioni su Pradino Visconti, si fa ancora più vertiginoso e insostenibile (…) Prandino lavorava sul territorio, per contrapposizione, alternando le immagini della città grigia, claustrofobica e indifferente, agli spazi aperti della campagna, anch’essa grigia, spoglia d’autunno e altrettanto indifferente; usando la nebbia, sempre incombente, come un velo (im)pietoso, quasi pudico, che ammantava le passioni e le vergogne di una storia d’amore così diversa e così uguale a tante altre. Il linguaggio cinematografico, asciutto e severo ma di un’eleganza inquietante, si imponeva fin da subito al di sopra di qualsiasi altra forma di narrazione. Sarebbe stato così per sempre, anche quando, ancora alla ricerca di un’identità cinematografica che non avrebbe mai trovato, attingeva a fonti letterarie o di cronaca che ispirassero il suo bisogno di fabbricare film.” (Dalla prefazione di Manlio Gomarasca)